Il proibizionismo è stato uno dei periodi più affascinanti e contraddittori della storia americana. Dal 1920 al 1933, con il Volstead Act, la vendita e la produzione di alcolici furono vietate negli Stati Uniti. Ma questo divieto non fermò affatto il consumo: anzi, lo rese più audace, creativo e… clandestino. In quegli anni, la sete d’America si trasformò in un mix di contrabbando, jazz, locali nascosti e cocktail improvvisati. Ma cosa si beveva davvero durante il proibizionismo? Scopriamolo insieme.
Cosa si poteva bere durante il proibizionismo?
Tecnicamente, nulla. O meglio, nulla di legale. Il proibizionismo vietava la produzione, il trasporto e la vendita di alcolici, ma non il consumo privato. Questo dettaglio permise a molti cittadini di accumulare scorte personali prima dell’entrata in vigore della legge.
Inoltre, alcune eccezioni erano previste per motivi religiosi e medici: il vino da messa e il whiskey “terapeutico” venduto in farmacia continuarono a circolare. Di conseguenza, ciò che si poteva bere legalmente era pochissimo, ma ciò che si beveva realmente era un fiume alcolico sotterraneo.
La produzione casalinga di vino, sidro e soprattutto birra “da bagno” (bathtub beer) era diffusissima. Altri si affidavano ai contrabbandieri, detti “bootlegger”, che importavano alcolici dall’estero o li producevano illegalmente in distillerie artigianali. Una delle bevande più famose era il “moonshine”, un distillato casalingo spesso di bassa qualità e ad altissima gradazione.
Cocktail del proibizionismo: quando l’alcol era vietato
Durante il proibizionismo nacquero o si diffusero moltissimi cocktail. Il motivo era semplice: spesso l’alcol a disposizione era di pessima qualità e per mascherarne il sapore servivano ingredienti forti come zucchero, agrumi e spezie. Così, i drink divennero creativi e, in alcuni casi, leggendari.
Tra i più famosi troviamo:
- Bee’s Knees: gin, succo di limone e miele. Il miele copriva il gusto aggressivo del gin fatto in casa.
- Sidecar: cognac, triple sec e succo di limone. Un cocktail elegante, importato dall’Europa e molto amato.
- Southside: gin, menta, zucchero e lime. Rinfrescante e aromatico, pare fosse uno dei preferiti di Al Capone.
- Mary Pickford: rum, succo d’ananas, grenadina e maraschino. Dedicato alla famosa attrice del cinema muto.
- French 75: gin, succo di limone, zucchero e champagne. Un mix esplosivo, tanto da prendere il nome da un cannone francese.
Molti di questi drink sono ancora oggi presenti nella lista cocktail dei bar di tutto il mondo, ma la loro origine affonda nella necessità di bere… senza lasciare tracce.
Cosa beveva Al Capone?
Al Capone è forse la figura più emblematica del proibizionismo. Il boss italoamericano costruì un vero impero sul commercio illegale di alcol a Chicago, guadagnando milioni di dollari e controllando bar, locali, distillerie e interi quartieri.
Si dice che Capone fosse un estimatore del Southside, cocktail a base di gin e menta che si serviva nel South Side di Chicago, suo quartier generale. Il drink era leggero, ma dietro la sua freschezza si nascondeva il pugno di ferro del boss. Capone, a quanto pare, non era un grande bevitore, ma sapeva bene come sfruttare l’alcol per guadagnare potere.
Era solito frequentare speakeasy raffinati, dove si servivano anche champagne e whiskey importati illegalmente dal Canada o dalle Bahamas.
Cosa bevevano negli anni ’20?
Gli anni Venti erano un mix esplosivo di contraddizioni: da un lato la legge secca, dall’altro il boom culturale, il jazz, le flapper e i locali notturni. In questo contesto, l’alcol era ovunque, seppure nascosto.
Oltre ai cocktail già citati, si bevevano:
- Whiskey di contrabbando, spesso canadese.
- Rum importato dai Caraibi.
- Birra artigianale, di solito leggera e annacquata.
- Vino da messa, ottenuto da vigneti registrati a scopo religioso.
Ma l’alcol più consumato restava quello distillato clandestinamente in casa: forte, spesso pericoloso, ma economico. Alcuni bar improvvisavano con ingredienti come glicerina, acqua distillata e aromi artificiali. Inutile dire che molte di queste bevande erano dannose per la salute.
Come si chiamano i bar del proibizionismo?
I locali clandestini nati durante il proibizionismo erano chiamati speakeasy. Il termine deriva dall’espressione “speak easy”, cioè parlare a bassa voce: per entrare, bisognava essere discreti e, spesso, conoscere una parola d’ordine.
Gli speakeasy erano nascosti dietro false pareti, porte anonime, parrucchieri, biblioteche o negozi di abbigliamento. Alcuni erano molto spartani, altri invece lussuosi e raffinati, con musica jazz dal vivo, camerieri in smoking e drink serviti in tazze da tè per non dare nell’occhio.
Frequentati da uomini e donne (una novità per l’epoca), gli speakeasy erano luoghi di trasgressione, incontro e libertà, nonostante il contesto repressivo. E proprio in questi locali nacque una nuova cultura del bere, ancora viva nei cocktail bar moderni.
Quanti speakeasy c’erano a New York nel 1920?
Difficile avere un numero preciso, ma si stima che a New York nel 1920 ci fossero oltre 20.000 speakeasy. Un numero impressionante, se si considera che i bar legali, prima del proibizionismo, erano circa 15.000. In pratica, il divieto contribuì a far aumentare l’offerta di alcol invece che ridurla.
Ogni quartiere aveva i suoi locali: Harlem, ad esempio, era famosa per i suoi speakeasy con musica jazz, frequentati da artisti e intellettuali. A Manhattan, i locali più esclusivi si trovavano a Midtown e nell’Upper East Side, spesso frequentati da politici e celebrità.
Perché ci fu il proibizionismo in America?
Le radici del proibizionismo affondano nell’Ottocento, con i movimenti per la temperanza che denunciavano i danni dell’alcol sulla salute e sulla moralità pubblica. Gruppi religiosi, associazioni femminili e attivisti sociali spinsero per una legislazione severa, culminata nel 1919 con il XVIII emendamento e l’entrata in vigore del Volstead Act nel 1920.
Gli obiettivi erano nobili: ridurre la criminalità, migliorare la salute pubblica, rafforzare i valori familiari. Ma gli effetti furono disastrosi. Invece di diminuire il consumo di alcol, si favorì la criminalità organizzata, la corruzione e il mercato nero. La polizia era spesso complice, le prigioni si riempivano di piccoli contrabbandieri, e la qualità dell’alcol peggiorava drasticamente.
Nel 1933, dopo tredici anni di fallimenti e scandali, il proibizionismo venne abrogato con il XXI emendamento. Fu la prima (e unica) volta in cui un emendamento costituzionale venne cancellato da un altro.