Storia del Martini cocktail: tra miti e verità

Il Martini cocktail è più di una semplice miscela di gin e vermut: è un’icona. Elegante, minimale, intramontabile. È il drink dei film noir, delle serate di gala, dei romanzi d’epoca e dei personaggi sofisticati. Ma qual è la vera storia del Martini cocktail? Chi lo ha inventato? E com’è nata la sua ricetta classica, tanto semplice quanto misteriosa?

In questo articolo esploriamo la storia del Martini cocktail, cercando di distinguere i fatti dalle leggende e scoprendo come questa bevanda sia diventata uno dei simboli dell’arte della mixology.

Le origini del Martini cocktail: tra Old West e New York

Le origini del Martini sono incerte e, come spesso accade nel mondo dei cocktail classici, circondate da un alone di mistero. Due sono le versioni principali che si contendono la paternità del drink.

La teoria del Martinez, California

Una delle storie più diffuse vuole che il Martini derivi dal Martinez, un cocktail preparato nella città omonima in California durante la corsa all’oro. Secondo questa leggenda, un cercatore d’oro entrò in un saloon e chiese qualcosa di speciale per celebrare la sua fortuna.

Il barista, di nome Julio Richelieu, avrebbe mescolato gin, vermut dolce, maraschino e bitter, servendolo con un’oliva. Quel drink sarebbe passato alla storia come Martinez, e nel tempo si sarebbe evoluto nel più secco Martini Dry che conosciamo oggi.

La pista newyorkese: il Knickerbocker Hotel

Un’altra teoria attribuisce l’invenzione del Martini a New York, negli eleganti saloni del Knickerbocker Hotel, all’inizio del Novecento. Qui il barman Martini di Arma di Taggia, al secolo Martini di nome e non di marchio, avrebbe perfezionato una versione elegante e minimale del drink, sostituendo il vermut dolce con uno secco e riducendo la quantità di zucchero.

Anche se non esiste una prova definitiva, questa versione è molto popolare tra gli storici della mixology.

Martini Dry: l’evoluzione della semplicità

La versione che oggi tutti riconosciamo come Martini Dry nasce proprio da questa progressiva sottrazione: meno vermut, più gin. Il gusto secco e deciso si afferma tra gli anni ’20 e ’30, epoca in cui i cocktail diventano simboli di status, eleganza e ribellione (basti pensare all’era del Proibizionismo).

Il Martini diventa così il re dei cocktail bar: servito rigorosamente in coppa, con o senza oliva, sempre con stile.

Il Martini e il cinema: un’icona pop

Il Martini ha trovato la sua consacrazione definitiva anche grazie al cinema. È impossibile non pensare a James Bond quando si parla di questo cocktail. Anche se tecnicamente l’agente 007 beve il Vesper, un cocktail a base di gin, vodka e Kina Lillet, reso celebre dalla frase: “Shaken, not stirred” (agitato, non mescolato).

Il Martini, nella sua versione classica o rivisitata, è comparso in decine di film: da La fiamma del peccato a Mad Men, passando per Sex and the City con i suoi vari Martini alla frutta. In ogni caso, è sempre associato a eleganza, fascino e raffinatezza.

Ricetta originale del Martini cocktail

Nel tempo, la ricetta del Martini si è semplificata sempre di più. Se all’inizio prevedeva anche sciroppi o bitter, oggi il Martini Dry classico si prepara così:

  • 6 cl di gin
  • 1 cl di vermut dry
  • Ghiaccio
  • Oliva verde o twist di limone per guarnire

È un cocktail semplice da fare a casa e si prepara nel mixing glass, con ghiaccio abbondante. Si mescola per raffreddare bene il tutto, poi si filtra in una coppetta da cocktail ghiacciata. L’oliva o la scorza di limone sono la firma finale.

Nel tempo sono nate decine di varianti: dal Dirty Martini (con l’aggiunta di salamoia di olive) al Vodka Martini, preferito da chi non ama il ginepro.

Martini: gin o vodka?

Una delle domande più frequenti tra i neofiti è proprio questa: Martini si fa con gin o con vodka? La risposta è chiara per i puristi: il Martini originale è a base di gin. La versione con la vodka è un adattamento più recente, reso famoso soprattutto dal cinema.

Il gin dona al cocktail la sua struttura botanica, mentre la vodka lo rende più neutro e morbido. Questione di gusto, ma se si parla di Martini Dry autentico, la risposta è: gin tutta la vita.

Il ruolo del vermut: quanto metterne?

Un altro elemento chiave è la proporzione di vermut. Nella storia del Martini cocktail, questa proporzione è andata riducendosi sempre più. Nei primi del ‘900, si usava una parte di vermut ogni due di gin. Oggi si va da un rapporto 5:1 fino a versioni estremamente secche in cui il vermut è solo “passato” sul ghiaccio o spruzzato nel bicchiere.

In gergo si parla di:

  • Wet Martini: più vermut (es. 3:1)
  • Dry Martini: classico rapporto 6:1 o meno
  • Extra Dry: pochissimo vermut, spesso solo una goccia
  • Bone Dry: solo gin, tecnicamente fuori definizione, ma amato dai duri

Il Martini oggi: tra mixology moderna e ritorno al classico

Nella mixology contemporanea, il Martini sta vivendo una seconda giovinezza, molto popolare tra gli aperitivi in Italia. Bartender di tutto il mondo lo reinterpretano con gin artigianali, vermut locali, infusioni aromatiche o tecniche avanzate. Ma c’è anche un forte ritorno al Martini classico, preparato con rispetto filologico e ingredienti di altissima qualità.

Sempre più locali propongono il Martini Hour o interi menù dedicati al re dei cocktail. In un mondo dove spesso il superfluo prende il sopravvento, il Martini resta un esercizio di stile, equilibrio e sottrazione.

Dove assaporare un Martini come si deve a Napoli

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